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al testo proposto da Rosanna Varoli
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La casa notturna
Ogni giorno il corpo lavora nei campi del mondo rabberciando un muro di sassi o roteando una falce nell'erba alta - l'erba del diritto, l'erba dei soldi - e ogni notte il corpo si rannicchia in sé e aspetta le dolci campane del sonno. Ma il cuore è senza posa e si alza dal corpo nel mezzo della notte, lascia la camera trapezoidale con i muri spessi e senza quadri per sedersi da solo al tavolo di cucina e scaldarsi un po' di latte in un tegame. E anche la mente si tira su, si mette una vestaglia e va di sotto, accende una sigaretta, e apre un libro di tecnica. Perfino la coscienza si sveglia e vaga da una camera all'altra nel buio sfrecciando via da ogni specchio come un pesce strano. E l'anima è in cima al tetto in camicia da notte, a cavalcioni sul colmo, e canta una canzone sull'impetuosità del mare finché compare il primo brandello di rosa nel cielo. Allora, tutti torneranno nel corpo che dorme come uno stormo di uccelli si risistema su un albero, riprendendo il loro dialogo quotidiano, parlando l'uno con l'altro o a se stessi anche nella calura di lunghi pomeriggi. È per questo che il corpo – quella casa di voci - a volte depone le pinze di metallo, l'ago, o la penna per fissare l'orizzonte, per sentir chiamare tutti i suoi nomi prima di piegarsi di nuovo al proprio lavoro. |
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